90 0

Pucundria e altre assenze Vinicio Capossela in concerto al teatro Trianon Viviani, Napoli, 16 marzo 2024

La parola Pucundria, questo sentimento vasto e oscuro, questo stato d’animo a cui la lingua napoletana ha saputo dare un nome, potrebbe trarre origine dal greco ypochondrios, letteralmente “sotto il costato”. Che non è l’ipocondria, la preoccupazione per la propria salute, ma qualcosa che investe una sfera psichica ed emotiva, evocando quel malessere che si avverte all’altezza del costato e si diffonde poi nell’animo influenzando l’umore.

L’umore per la medicina galenica era una secrezione all’interno del corpo. La materia del melanconico proveniva dal fegato ed era la bile nera. Dava un tipo di disposizione cupa, un particolare tipo di depressione. La parola malinconia viene da “bile nera” e trova la sua radice nelle parole greche melas (nero) e cholè (bile).

I medici arabi ripresero la scuola di Galeno e tradussero bile nera con la parola sawda, da cui la ottomana sevdah, usata in Turchia, Bosnia, Grecia. Anche la parola saudade deriva dalla parola araba sawda. Che diventa poi quella forma di melanconia del genere fado. La nera sevdah che dà il nome alla sevdalinka, genere di canzoni di struggimento d’amore. La melancolia d’amore è tema centrale di molte musiche che hanno a che fare con il sentimento dell’assenza. Ma non è la sola. La nostalgia, il dolore del nostos, del ritorno che ripassa dal cuore è un altro tema ricorrente nella bile nera. Un sentimento che si può provare per una strada, un profumo, un quartiere, persino per una vita che non si è vissuta. 

La melanconia riassume in sé una ambiguità: è allo stesso tempo veleno e medicina, così come le musiche che la praticano. Il demone della melanconia ha diversi nomi nelle musiche di assenza in cui si annida: dalkas nel rebetiko, duende nel flamenco, blues nella musica afroamericana.

Forse a tutti questi stati d’animo sottende la pucundria. Una città sospesa sul mare e fondata da una sirena, come Napoli, li conosce bene. 

A questo sentimento, che è anche un modo di esistere, è dedicato il concerto al teatro Trianon Viviani, uno dei templi storici della città. Un concerto per strumenti a corde per fare impigliare nelle reti la melas cholè, fino a farla spurgare, come nero di seppia, per scrivere musica col suo inchiostro.

Senza dimenticare che è ancora dall’umore che viene la parola umorismo, che in questa città è da sempre parte e antidoto dell’umor nero.

Accanto ai musicisti alcune voci che ci porteranno l’eco di queste musiche: Irene Scarpato, l’ammanes dell’Asia Minore, Irene Sciacovelli, il fado, M’Barka Ben Taleb, interprete di una sorprendente versione in arabo di “‘O sole mio”, la celebre canzone napoletana composta a Odessa, e infine ospite speciale Enzo Gragnaniello, interprete inscindibile dall’anima di questa città. 

Formazione:

Peppe Frana (oud)

Raffaele Tiseo (violino)

Giancarlo Bianchetti (chitarre)

Massimiliano Pitocco (bandoneon)

Raffaele Vitiello (chitarra portoghese)

Comunicato Stampa

Post correlati

FILIPPO CACCAMO Tel chi Filippo

Filippo Caccamo, classe 1993, è laureato in Scienze
Continua a leggere

Leave a Comment:

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *