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Vorrei una voce con Tindaro Granata dal 12 novembre Sala Umberto


​produzione LAC Lugano Arte e Cultura

in collaborazione con Proxima Res • partner di produzione Gruppo Ospedaliero Moncucco

TINDARO GRANATA

VORREI UNA VOCE

di Tindaro Granata

con le canzoni di Mina

ispirato dall’incontro con le detenute-attrici del teatro Piccolo Shakespeare all’interno della Casa Circondariale di Messina nell’ambito del progetto Il Teatro per Sognare di D’aRteventi diretto da Daniela Ursino

disegno luci Luigi Biondi • costumi Aurora Damanti • regista assistente Alessandro Bandini

12 – 14 novembre 2024

SALA UMBERTO

Scritto e interpretato da Tindaro Granata, Vorrei una voce è uno spettacolo in forma di monologo costruito attraverso le canzoni di Mina cantate in playback, fortemente ispirato dal lungo percorso teatrale che l’autore e attore siciliano ha realizzato al teatro Piccolo Shakespeare all’interno della Casa Circondariale di Messina con le detenute di alta sicurezza, nell’ambito del progetto Il Teatro per Sognare. Il fulcro della drammaturgia è il sogno: perdere la capacità di sognare significa far morire una parte di sé. Vorrei una voce è dedicato a coloro i quali hanno perso la capacità di farlo.

“Ero un giovane uomo, lavoravo, avevo una casa, una macchina e soprattutto persone che mi amavano, ma avevo smesso di provare gioia per quello che facevo, non credevo più in me stesso e in 

niente – dichiara Granata. Non so come sia successo. Un giorno mi sono svegliato e non mi sono sentito più felice, né di fare il mio lavoro né di progettare qualsiasi altra cosa. Quando mi arrivò la telefonata di Daniela Ursino, direttore artistico del teatro Piccolo Shakespeare all’interno della Casa Circondariale di Messina, con la proposta di fare un progetto teatrale con le detenute ‘per farle rivivere, sognare ritrovando una femminilità perduta’, capii, dopo averle incontrate, che erano come me, o forse io ero come loro: non sognavamo più. Guardandole mi sono sentito recluso, da me stesso, imbruttito da me stesso, impoverito da me stesso. Avevo dissipato, inconsapevolmente, quel bene prezioso che dovrebbe possedere ogni essere umano: la libertà. Proposi così di fare quello che facevo da ragazzo quando ascoltavo le canzoni di Mina: interpretavo le mie storie fantastiche con la sua voce.

Con le detenute abbiamo messo in scena l’ultimo concerto live di Mina, tenutosi alla Bussola il 23 agosto 1978. L’idea era quella di entrare nei propri ricordi, in un proprio spazio, dove tutto sarebbe stato possibile, recuperando una femminilità annullata, la libertà di espressione della propria anima e del proprio corpo, in un luogo che, per forza di cose, tende quotidianamente ad annullare tutto questo. Ognuna di loro aveva a disposizione due canzoni di Mina e, attraverso il canto in playback, doveva trasmettere la forza e la potenza della propria storia per liberarsi da pensieri, angosce, fallimenti di una vita. Mi sono trovato, con loro, a cercare il senso di tutto quello che avevo fatto fino ad allora.

Non voglio e non posso portare in scena le mie ragazze del Piccolo Shakespeare di Messina, perché quello che abbiamo fatto dentro quel luogo di libertà che sta dentro un carcere è giusto che rimanga con loro e per loro. In Vorrei una voce in scena ci sono solo io, delle ragazze mi porto i loro occhi, i gesti, le loro lacrime e i sorrisi. Grazie a loro racconto storie di persone che dalla vita vogliono un riscatto importante: vogliono l’amore per la vita, quella spinta forte ed irruente che ti permette di riuscire a sopportare tutto, a fare tutto affinché si possa realizzare un sogno.

NOTE SUL DISEGNO LUCI

di Luigi Biondi

Siamo nel luogo in cui si condivide il racconto di un’esperienza intima. Le storie che ascoltiamo sono forti, tese, estreme. Cinque donne, ciascuna percorrendo a suo modo il sentiero della vita, inciampano nel reato. La musica di Mina, nell’ambito di un laboratorio teatrale condotto in carcere, ne è testimone, aiuta le protagoniste a sublimare i propri desideri e, forse, ricucire qualche strappo. Il discorso diretto lascia pian piano spazio alle voci delle protagoniste e alla loro toccante interpretazione in playback di uno dei colossi della musica italiana. La luce di questo racconto teatrale è calda, accogliente, accompagna l’andamento del racconto e assume poco a poco la forma di una spettacolarizzazione da camera. Colori in controluce invadono la scena e cordoni di luminarie vibrano come anime in cerca di uno spiraglio di libertà.

NOTE SUI COSTUMI

di Aurora Damanti 

“Faccio uno spettacolo su Mina, ho pensato a te per i costumi”.

Era luglio, mi trovavo in teatro a Spoleto ed era caldo. Così è iniziata la telefonata tra me e Tindaro durante la quale mi ha raccontato l’idea dello spettacolo, di Mina e le storie delle ragazze del carcere di Messina. Prima di concludere la conversazione mi ha detto: “c’è un ‘vincolo’, le ragazze mi hanno chiesto che i costumi siano di paillettes”. Siamo così partiti da questa promessa per la progettazione. 

Si tratta di un’immagine né maschile né femminile, non c’è sesso e non c’è travestimento, un’immagine che riprende e si ispira al fascino ed alle movenze della Tigre di Cremona. Matita nera attorno agli occhi, una collana di metallo morbido, un pantalone neutro, una sorta di indumento ‘intimo’ dalla vita molto alta, una base sopra alla quale Tindaro, indossando o togliendo una giacca oro o una camicia di paillettes nera, ad esempio, scivola da una storia all’altra in modo sensuale ed attraente.

Guardando svariati video della cantante, tra i quali La voce del silenzio, ho preso ispirazione per la forma a zampa dei pantaloni in paillettes argento, tessuto che sotto la luce permette di ricreare l’effetto della palla stroboscopica tipica delle discoteche della fine degli anni Settanta.

Le luci di Luigi Biondi permetteranno di enfatizzare, oltre che questo gioco di lustrini, la semitrasparenza di alcuni tessuti.

Oro, nero e argento i colori scelti tra indumenti vintage e nuovi, dopo una prova costume che ci ha portato alla costruzione e definizione stessa del personaggio.

Casualità, in prova a Milano noto che Tindaro porta involontariamente una collana molto simile a quella indossata da Mina durante il concerto alla Bussola nel 1972: è diventata un accessorio di scena.

Comunicato Stampa

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