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Manuele Morgese si racconta ai lettori di Occhio All’artista Magazine

Ho avuto il privilegio di intervistare Manuele Morgese, un artista con un curriculum straordinario: attore, regista, scrittore e formatore di fama internazionale. Accendo il mio sigaretto e, da dietro la mia scrivania, inizia la nostra chiacchierata.

Come e quando inizia la sua carriera artistica? Quando scopre che questa sua vocazione o passione diventa un lavoro?

Chiedersi sin da giovani “cosa farò da grande” è una domanda tutt’altro che facile. Le risposte possibili sono molteplici, ma nessuna porta certezze. Da adolescenti si sognano mestieri straordinari, lavori improbabili e magari anche fantastici. Tuttavia, già a 15 anni, sapevo che volevo essere un attore.

Molti credono che fare l’attore, il regista o, in generale, “lavorare in teatro” sia qualcosa di semplice e accessibile a tutti. Io penso di aver scelto una strada luminosa e illuminante scegliendo il teatro, rinunciando volontariamente alle fiction e alla pubblicità fin dall’inizio. Parlo di una scelta professionale maturata dopo l’Accademia di Napoli.

In Italia, si ha spesso l’impressione che essere danzatore o musicista sia estremamente complesso, mentre fare l’attore di prosa sembri più semplice. È un grande errore! Il lavoro di un attore, al pari di quello delle altre discipline artistiche, è lungo, faticoso e richiede competenze precise, oltre a una pratica rigorosa. Durante il liceo ho iniziato a “giocare” a fare teatro e, proprio giocando, ho capito che volevo fare sul serio. Ho lavorato duramente per raggiungere una preparazione degna di lode; gli incontri con i “grandi” mi hanno poi illuminato. Penso, in particolare, a Patroni Griffi e Scaparro.

Per essere attore – e ancor più regista – è indispensabile una profonda preparazione artistica. Il regista, infatti, svolge un lavoro simile a quello del direttore d’orchestra: deve conoscere lo spartito di ogni singolo strumento, coordinarli e farli suonare insieme.

Dare ritmo, vigore e restituire al pubblico una fusione tra tecnica ed esperienza empatica: questo è il compito del regista. È un equilibrio tra Apollo e Dioniso, tra cuore e mente, che dà vita alla creatività di un regista.

Manuele Morgese è stato protagonista di un evento culturale di grande impatto: la lettura de Il Principe di Niccolò Machiavelli. L’evento ha avuto luogo il 19 novembre presso il Consolato Generale d’Italia a Boston. Ce ne parla?

La scelta di portare in scena Il Principe non è stata casuale. Nonostante sia stato scritto nel XVI secolo, quest’opera offre riflessioni sul potere, sulla leadership e sulla natura umana che sono ancora estremamente attuali. Attraverso una lettura drammatica, accompagnata da musica dal vivo eseguita da musicisti del Boston Conservatory, abbiamo cercato di creare un’esperienza immersiva per il pubblico americano.

L’obiettivo era non solo trasmettere la profondità del pensiero machiavelliano, ma anche sottolineare la sua rilevanza nel contesto moderno, dimostrando come la cultura italiana sia ancora capace di stimolare riflessioni profonde e universali.

Portare Machiavelli negli Stati Uniti – e in particolare in una città intellettualmente vivace come Boston – è stata una sfida stimolante. Con la sua tradizione di università prestigiose e il suo costante interesse per la filosofia e la politica, Boston è il luogo ideale per un evento di questo tipo. Spero che la mia lettura abbia contribuito a rafforzare quel ponte culturale che unisce Italia e America, offrendo al pubblico una chiave di lettura per comprendere l’attualità attraverso i classici.

Recentemente, ho avuto anche l’opportunità di portare la lettura della Divina Commedia di Dante nel Regno Unito, riscuotendo un grande successo di pubblico. Esperienze come queste mi confermano l’importanza di rendere i classici accessibili e rilevanti per il pubblico contemporaneo, promuovendo un dialogo culturale tra nazioni e generazioni diverse.

Lei è stato di recente a Napoli, presso la Galleria Toledo, con Novecento. Dalle pagine di Alessandro Baricco, com’è stato l’impatto con Napoli?

È stato un piacevolissimo ritorno e un’esperienza profondamente gratificante. Napoli, con la sua ricca tradizione teatrale e il suo pubblico appassionato, offre un’atmosfera unica, che stimola e arricchisce ogni performance.

La Galleria Toledo, in particolare, è un luogo emblematico per il teatro d’innovazione in Italia. La sua storia e il suo impegno nella promozione di opere contemporanee la rendono una cornice ideale per un monologo intenso come Novecento. La risposta del pubblico napoletano è stata calorosa e coinvolgente; si è creata una bellissima energia reciproca con gli spettatori.

Un suo sogno nel cassetto?

Ne ho realizzati tanti… Essendo un sogno grande, il prossimo non si racconta, se non quando sarà realizzato!

Quali sono i prossimi progetti che la vedono coinvolto?

Rientrato in Italia, proseguirò con il tour di Novecento, continuando a dedicarmi sia al TeatroZeta dell’Aquila che allo Zeta Actor Studio di Cagliari, di cui sono fondatore e direttore artistico. Inoltre, sto portando avanti un grande progetto di sviluppo territoriale con il mio teatro, un’iniziativa che mi sta impegnando moltissimo e di cui non posso ancora parlare.

Un suo personale saluto per i lettori di Occhio All’Artista Magazine?

È stato un piacere stare in vostra compagnia. Continuate a sostenere e vivere la bellezza che l’arte porta nelle nostre vite. Ogni scena, ogni libro, ogni nota musicale e ogni nuova scoperta in ambito artistico sono come un viaggio dell’anima e, come tale, fonte di arricchimento.

A presto, magari in teatro, per condividere insieme nuove emozioni!

Giuseppe Nappa

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